C’è un tema che ho affrontato in un recente articolo pubblicato su vita.it, che è stato poco dibattuto della Riforma del Terzo Settore, ed è quello della formazione dei bilanci per gli enti del Terzo Settore. E’ un tema delicato che contiene anch’esso, come buona parte dell’impianto fiscale della riforma, alcune criticità. Quali sono le principali criticità?
I bilanci, al di là delle presunte e annunciate semplificazioni, hanno un problema di fondo: devono corrispondere a dei criteri, i quali dovranno essere utilizzati in sede fiscale per definire la natura commerciale o non commerciale dell’ente. E dunque, questi criteri impongono ai bilanci di seguire delle regole precise.
In primo luogo, devono essere in grado di esprimere le attività di interesse generale con i relativi costi e ricavi che sono direttamente imputabili alle attività di interesse generale. Risulta evidente che se un Ente del Terzo Settore realizza diverse attività di interesse generale dovrà necessariamente, anche per precostituire una prova di fronte ad eventuali accertamenti fiscali, precostituire una documentazione contabile in grado di dimostrare che quei costi e quei ricavi siano connessi direttamenti ad attività di interesse generale.
C’è poi un’altra voce che va rappresentata in bilancio ed è quella della raccolta pubblica dei fondi e delle erogazioni liberali. Sulla raccolta dei fondi andrà poi allestito il rendiconto specifico che va allegato al bilancio.
Esistono poi le attività diverse, che fiscalmente hanno natura commerciale, sono le attività diverse da quelle di interesse generale. Anche lì andranno indicati in bilancio sia i ricavi sia i costi direttamente imputabili alle attività diverse.
E poi ci sono i costi promiscui, generali, che l’ente sostiene per esempio per l’affitto, per le locazioni degli immobili in cui l’ente esercita l’attività, per il personale impiegato, oppure per l’acquisto di materiali e servizi, che saranno costi imputabili pro-quota non solo alle attività di interesse generale ma anche alle attività diverse.
Questo tema sembra banale ma non lo è affatto perché i criteri con i quali si andranno ad imputare i costi generali, che probabilmente rappresenteranno una quota importante del bilancio degli ETS, potrà condizionare la natura o meno dell’ente dal punto di vista fiscale.
Dunque, per fare un esempio, quali sono i criteri per imputare i costi generali?
Possiamo utilizzare un criterio pro rata, costruito sulla base dei ricavi? A me questo criterio sembra del tutto insufficiente, perché è probabile che per l’attività, per esempio, di raccolta fondi, che potrebbe rappresentare per gli ETS un’importante voce dei bilanci, siano impiegati costi relativamente minori rispetto ai costi impiegati per la realizzazione delle attività di interesse generale. E dunque andranno individuati dei criteri rigorosi sulla base dei quali attribuire le quote di competenza dei costi nelle varie aree di attività.
Ma il bilancio così redatto sarà in grado di esprimere dal punto di vista civilistico i risultati della gestione delle attività economiche che l’ente realizza. E poi sarà necessario dunque allestire una sorta di bilancio fiscale per capire se il test di commercialità, contenuto nell’articolo 79 dell decreto legislativo 117/2017, sarà poi in grado di esprimere la natura commerciale o non commerciale dell’Ente che, come sappiamo, dipende dal rapporto fra costi e ricavi contenuti innanzitutto nelle attività di interesse generale. Quel test di commercialità ci dirà se le attività di interesse generale sono commerciali o non commerciali e poi andranno confrontate con gli altri ricavi di natura commerciale, nel caso delle attività diverse, o non commerciali, nel caso delle erogazioni liberali e delle raccolte pubbliche di fondi occasionali.
Insomma, il processo di formazione di bilancio non è affatto banale, richiede un impianto contabile rigoroso, analitico. Probabilmente anche per enti di dimensioni non troppo grandi sarà necessario allestire un sistema contabile che assomiglia molto alla contabilità del centro di costo, in modo da poter costruire per ogni ente un apparato rigoroso per dimostrare la bontà del test di commercialità che andrà poi affrontato ai sensi dell’articolo 79.