Credo di essere tra i pochi che, negli ultimi vent’anni, dalla per me sciagurata decisione del legislatore di inserire la disciplina dei compensi sportivi tra i redditi diversi (e di conseguenza escludendoli dall’assoggettamento a contribuzione previdenziale e assicurativa), ha sempre e costantemente perseguito l’obiettivo di dare tutela a chi lavorasse nello sport dilettantistico.
Pertanto, certo che io non possa passare per quello che voglia difendere lo status quo esistente, non posso neanche fare a meno di constatare come la manifestazione del problema che oggi si avverte, alla luce dei contenuti dei provvedimenti inseriti sia nel decreto cura italia che poi in quello rilancio, mi preoccupa.
Intanto non si sottolinea adeguatamente quella che è la più grossa criticità della disciplina dei compensi sportivi. Ossia quella di “non avere natura sinallagmatica”. Infatti io li posso riconoscere, magari come premi, anche a soggetti che “nulla” hanno fatto per lo sport in concreto, senza dover motivare alcunchè. Io posso oggi riconoscere un “premio” esentasse di 10.000 euro ad una persona per il solo fatto che magari sia venuto ad assistere ad una mia manifestazione sportiva. Ciò produce eccessi di natura elusiva, se non del tutto evasiva che mi preoccupano molto, in specie in un momento come questo in cui si prevede, giustamente, una messe di contributi a fondo perduto alle asd e ssd che potrebbero essere utilizzati per premiare “la moglie di o il marito di …” per la loro passione sportiva …..
Il rischio, come spesso accade, è quello di passare da un eccesso all’altro. Ossia da una disciplina in cui nessun percettore di “compenso sportivo” veniva classificato come lavoratore a una in cui diventeranno tutti lavoratori. Sbagliata la prima, sbagliata la seconda
Partiamo da un segnale: l’art. 5 della legge n. 86/19, la legge delega sullo sport, inserisce l’ufficiale di gara tra le figure del lavoratore sportivo. E’ di ieri la notizia che la Federazione Italiana Pallavolo, una delle più grandi, ha previsto di inserire anche i propri arbitri tra i soggetti autorizzati a percepire le indennità (i famosi 600 euro previsti inizialmente per il solo mese di marzo e poi estesi a aprile e maggio) che saranno riconosciute da Sport e salute per i lavoratori dello sport.
Da qui una prima domanda: ma gli arbitri lavorano? SE la domanda potrebbe, forse, avere risposta positiva per i livelli top delle discipline di squadra sicuramente no per le migliaia di arbitri e ufficiali di gara che per diarie spesso assai modeste garantiscono lo svolgimento di migliaia di gare in tutte le discipline del nostro Paese. Nessuno di questi potrebbe vivere delle diarie percepite dalla Federazione o dall’ente di promozione sportiva di appartenenza e nessuno di questi svolgerebbe questa attività se non fosse animato da seria e profonda passione sportiva.
Credo che ridurre il tutto ad una prestazione lavorativa, un puro nesso sinallagmatico sia perdere un patrimonio importante di lavoro indispensabile che è andato sempre oltre il ritorno economico ricevuto.
Ma, se pure così fosse, la media dei gettoni arbitrali, escluse le già citate fasce per l’attività di vertice, appare assolutamente insufficiente per “vivere”. Quindi si tratta di soggetti che necessariamente svolgono anche un’altra attività. E, per questa, sono già dotati di idonea copertura previdenziale e assicurativa.
Pensare di inquadrare come lavoratori gli arbitri significherà “incrementare” i loro compensi (come già accade oggi per gli arbitri di calcio e di pallacanestro di serie A) della componente previdenziale e assicurativa, senza che la stessa porti loro, anche per la loro modestia, alcun tipo di vantaggio tangibile in termini di copertura.
Un maggior costo di cui oggi lo sport sente veramente l’esigenza di dover spendere?
Analogamente il ragionamento dovrà essere fatta per gli atleti. Non a casa il decreto del 2005 che elencava le categorie di lavoratori che dovevano essere iscritte all’enpals (oggi inps spettacolo) non comprendeva gli atleti dilettanti.
Questo perché, nella maggior parte dei casi (anche qui escludendo le fasce top dove, forse, non si potrebbe parlare di dilettantismo), si tratta di giovani che fanno attività per un numero limitato di anni, quasi sempre più spinti dalla passione che dalla ricerca di un mestiere. Anche qui si rischia di incrementare il costo “azienda” senza beneficio vero per il percettore che dalla sua attività di “atleta dilettante” ben difficilmente come tale potrà raggiungere un monte contributivo tale da garantirgli un trattamento previdenziale.
Fino ad oggi non abbiamo mai risolto il problema di coloro i quali, magari anche con una laurea in scienze motorie, da anni, fanno gli istruttori di fitness, di nuoto, i maestri di tennis, i personal trainer a tempo pieno nei nostri impianti sportivi. Non lo abbiamo mai fatto perché il costo aggiuntivo che si sarebbe creato avrebbe fatto saltare l’equilibrio economico – finanziario delle Asd e Ssd presso le quali svolgevano la proprio attività.
Aver allargato così tanto il recinto del problema rischia di incrementare alla ennesima potenza la problematicità della ricerca di una soluzione compatibile con le risorse finanziarie del movimento.
Il timore è che ancora una volta tanto can can non porti ad una vera soluzione. E mai come in questo momento in cui ci siamo molto vicini sarebbe un vero peccato